Mi chiamo Angela Haisha Adamou, italo-ghanese nata e residente a Correggio, nel cuore della bella Emilia.
Laureanda in Giurisprudenza, mi occupo di comunicazione e marketing online da ormai tre anni e aspiro a conciliare la passione per il settore dei media digitali e gli studi giuridici specializzandomi nell’ambito del Cyber Law (Diritto di Internet). Chi mi conosce per la mia attività di blogger e per la mia professione di consulente in comunicazione, si stupisce quando sente che sono prossima conseguire una laurea in campo giuridico.
La prima volta che ho detto “da grande vorrei fare l’avvocato” avevo 7 anni ed ero appena rientrata con mia madre dalla giornata in Questura per il rinnovo del permesso di soggiorno, me lo ricordo bene.
Se guardo quell’esperienza con gli occhi dell’Angela “grande” intuisco che ciò che mi aveva mosso era stato vedere l’assenza di “ponti” tra chi chiedeva i documenti e chi li doveva rilasciare. Mancavano intermediatori che, oltre che culturali, fossero competenti in materia e quindi preziosi per entrambe le parti.
Crescendo, ho avuto un leggero ripensamento solo durante gli ultimi anni del liceo, studiando filosofia: materia che mi affascinava e che per un attimo ho pensato di approfondire all’università. Andando avanti, però, mi sono accorta che le figure e correnti di pensiero che più mi affascinavano erano quelle legate al diritto, alla società civile, allo sviluppo dell’uomo come individuo parte di un gruppo. Insomma, vivere quest’infatuazione per la filosofia mi ha fatto percepire ancora di più il profondo amore per il diritto.
Il taglio che vorrei dare al mio percorso didattico e formativo futuro sente molto l’influenza del mondo della comunicazione digitale, in cui opero tutti i giorni. È sempre più urgente disegnare linee guida, anche e soprattutto a livello legislativo, in grado di delineare lo spazio entro cui le libertà di espressione, informazione, commercio, concorrenza possano prendere forma. Da questa presa di coscienza nasce il mio desiderio, citato all’inizio, di intraprendere un percorso di studio e contributo nell’individuare con più chiarezza orientamento e leggi che regolando il mondo digitale e la rete.
La mia professione attuale fonda le sue radici in un blog (NaturAngi) aperto nel gennaio 2014 e dedicato alla cura dei capelli afro, il cui scopo principale è dare riferimenti per riuscire nell’impresa di (ri)appropiarsi di una propria connotazione estetica in passato stigmatizzata e mal raccontata. Una grandissima soddisfazione è arrivata nel novembre 2015 quando NaturAngi è stato premiato agli Africa Italy Excellence Awards come miglior punto d’informazione sulla cura dei capelli afro in Italia (“Best Nappy Info Point in Italy”).
Nel giugno 2017 ho pubblicato il libro Love is in the Hair, prima guida sulla cura dei capelli ricci e afro in italiano, seguita a distanza di un anno dalla versione in inglese. In cantiere ho quella in francese.
In questi anni ho anche seguito lo sviluppo di linee di cosmesi dedicate a pelle e capelli afro ed entro la fine di questo mese lancerò la mia prima linea di turbanti concepiti per rispettare le caratteristiche e le esigenze dei capelli ricci.
Mi piace pensarmi come appartenente a una generazione definibile in due modi tra loro complementari: seconda, perché faccio parte dei figli e figlie di chi è migrato nel Bel Paese e qui ha fatto crescere la propria famiglia, ma anche prima, perché essendo nata e cresciuta qui con (ahimè) pochissimi contatti con la dimensione e la terra di origine dei miei genitori, l’Italia è la mia patria, non per sangue, ma per cultura, vissuto e spirito. Fattori che, a mio parere, sarà sempre più grave non considerare nel delineare il concetto di cittadinanza, sia in senso sociale che legale.
Io sono diventata cittadina italiana a 19 anni, me lo ricordo bene perché la notifica di esito positivo della procedura mi è arrivata il pomeriggio della terza prova d’esame. Ero così contenta che a quel punto la maturità poteva prendere la piega che voleva, io ero riuscita ad appropriarmi finalmente di una parte di me che altri avevano tenuto in standby per 18 anni.
Emotivamente non è stato facile gestire lo sfasamento tra quello che mi sentivo, anzi che ero nei fatti, e ciò che invece ero per gli altri. Straniera nell’unica casa che conoscevo e, di conseguenza, volevo.
Perché se mai mi avessero detto «Torna a casa tua» io avrei risposto
«Sono a casa». E se per assurdo a causa di un delirio del legislatore tutti gli stranieri o i “diversi” fossero stati costretti a “tornare a casa loro” io sarei stata catapultata in un Paese che, sono sicura, col tempo avrei sì amato, ma sarebbe sempre stato il Paese di mia madre. Sarebbe stato come una nonna: premurosa, accogliente, amorevole, consolatoria. Ma la mamma è la mamma.
Casa è ciò che respiri, ciò che vivi, ciò con cui cammini e sì, a volte combatti, e casa per me è l’Italia.
È una condizione non facile da spiegare spesso anche a chi fa parte di quella schiera di figli che la madre Italia stenta a riconoscere. Per alcuni non si tratta di essere “anche” italiani, ma “solo” italiani” e attenzione, non per scelta, ma per stato delle cose. Penso sia naturale che poi si scelga di ritrovare le proprie radici: un moto verso le origini che l’animo richiede e pretende per potersi definire completo. Ma questo dovrebbe avvenire per una forza endogena appunto, non esogena solo perché qualcuno decide che “questo non è il tuo posto”, quando volenti o nolenti, lo è.
Questo è un breve racconto della me di oggi, grata al passato e che guarda al domani con entusiasmo e voglia di affrontare e vincere le sfide a venire di donna, nera, italiana con origini ghanesi.