Per un decennio si è parlato di femminilizzazione dei flussi migratori verso l’Europa e l’Italia in particolare, per sottolineare come il fattore D — legato al ricongiungimento familiare o alla ricerca di lavoro — risultasse ormai maggioritario. La tendenza oggi si è invertita e in quasi tutti gli Stati membri dell’Unione, tra i nuovi arrivati sono gli uomini a risultare nuovamente più numerosi (in media 55% contro il 45%). L’Italia non fa eccezione e la componente maschile è tornata a superare quella femminile, mano a mano che dal 2014 al 2017 sono cresciuti i richiedenti asilo provenienti dal Mediterraneo.
Secondo fonti OECD (Organisation for Economic Cooperation and Development), nel 2016, su 262 mila migranti giunti in Italia, le donne sono state solo 115 mila (38%), con una riduzione secca (-7%) anche rispetto alla media già declinante del quinquennio precedente (2011-2015). Tra i principali Paesi dell’area EU, solo in Francia e in Spagna (almeno fino alla diminuzione degli arrivi via mare ), l’immigrazione femminile ha superato il 50%, mentre in Germania, in Austria e nei Paesi dell’Europa centrale la percentuale si attesta stabilmente sotto al 45%.
Grazie ai flussi migratori degli anni 2000 tra i residenti stranieri, le donne restano in ogni caso più numerose. Secondo l’Istat a fine 2018 erano 2.672.718 su 5.144.440: una maggioranza pari al 52.24%. La proporzione varia molto da una comunità all’altra, a partire dalla più numerosa, quella rumena, con 684.130 donne (57%) su un totale di 1.119.009. Così come quelle dell’area UE 28 (58,33%) dell’Est Europa (60,72%) e delle Americhe (61,19%). Al contrario, fra gli immigrati di provenienza africana e mediorientale la maggioranza sono uomini, mentre fra i cittadini cinesi emerge una sostanziale parità di genere (51,24%), così come viene evidenziato dai grafici.
Secondo l’ultimo report del 2018 del Ministero del Lavoro, in Italia, dove l’occupazione femminile (49%, Istat 2017) è storicamente più bassa della media UE (62%), mostra differenze profonde fra le diverse comunità di stranieri. Le lavoratrici di area UE hanno un tasso di un’occupazione che raggiunge il 58,2%. Le lavoratrici rumene guidano un trend che le avvicina ai valori europei, superando persino la percentuale (per altro in leggera crescita) delle italiane occupate (48,8%). All’interno delle comunità extra UE (45,9%), le differenze sono invece siderali e riflettono inevitabilmente le barriere di parità di genere, sociali e culturali che in molti casi impediscono l’accesso ai servizi e alla conoscenza dell’italiano. Infatti si passa da un tasso di occupazione delle cinesi (66%), filippine (78%), peruviane ( 70,3%) a quello ancora molto basso di egiziane (6,2%) o pachistane (7,5%).
Ancora lontano dai valori pre crisi, tra il 2013 e il 2017 il tasso di disoccupazione è comunque calato, anche se di poco: dal 19% al 18% per le lavoratrici extra UE e dal 15,8% al 13,2% per le lavoratrici dell’Unione Europea, mentre tra le giovani non UE fra i 15 e i 29 anni supera il 30%, con un rischio povertà che si configura per loro nel 38.2% dei casi. Tra i NEET — i giovani (15-34) che non risultano impegnati nello studio, né nel lavoro, né nella formazione — le femmine invece raggiungono il 46,6% e sono oltre il doppio dei maschi (21%). Una percentuale che, seppure in leggero calo, resta altissima rispetto alla media UE 28 (31%). Queste cifre però vanno interpretate con una lente socio-culturale, come quelle relative all’occupazione. In alcune comunità, come ad esempio quella pachistana, il percorso per l’emancipazione delle figlie di immigrati è appena iniziato e spesso è ostacolato dalle tradizioni familiari.
Guardando il bicchiere al mezzo pieno, e cioè a chi un lavoro lo ha trovato, quasi metà delle lavoratrici straniere occupate in Italia (46,5%) risulta però ancora inserita nel settore dei servizi domestici e assistenza familiare. Con gap retributivo sia rispetto alle lavoratrici italiane sia agli uomini.
Infine i dati sulle imprese che sono incoraggianti. Più di un titolare di un’azienda su quattro (27%) con cittadinanza extra UE oggi in Italia è donna. Da una lettura di genere delle titolari d’impresa, con circa 80.000 attività, l’incidenza dell’imprenditoria femminile risulta sempre più elevata, e particolarmente significativa tra i cittadine provenienti da Ucraina (56,7% del totale), Cina (46,4%), Nigeria (43,6%), Brasile (39,7%) che dimostra anche l’evoluzione del tasso di integrazione.