Il piano governativo di chiusura dei grossi centri di prima accoglienza dimostra che le rassicurazioni circa «l’assoluta invarianza delle condizioni in materia di prima accoglienza» ribadite nella circolare del 18 scorso si infrangono di fronte alla realtà de fatti. NuoveRadici.World ha dato puntualmente conto di ogni passaggio rilevante, trattando del cosiddetto decreto Salvini (d.l. n. 113/2018) sin dalla sua emanazione, all’inizio di ottobre, e per tutto il periodo necessario alla sua conversione (nel dicembre scorso, con l. n. 132/2018), avvenuta nonostante i profili di incostituzionalità, i dubbi interpretativi e gli impatti che è destinato a produrre. Poi è stata la volta della mancata adesione al Global Compact for Migration, sbandierata come manifestazione di coerenza rispetto alle politiche del governo, mentre sarebbe stato più conveniente fare l’esatto opposto. Successivamente, è stata commentata l’intempestiva “ribellione” di alcuni sindaci contro il “decreto sicurezza”, le divergenze di vedute all’interno dell’Anci e la soluzione trovata lo scorso 14 gennaio a seguito di un incontro tra la stessa Anci e il governo, vale a dire l’emanazione di atti chiarificatori di alcuni profili controversi della nuova legge. In attesa che tali atti vengano emanati, è il caso di esaminare una circolare emanata dal Ministero dell’Interno nel mese di dicembre: essa avrebbe potuto chiarire problemi interpretativi già da tempo, e invece è meramente funzionale a rafforzare lo storytelling del ministro.

La circolare si preoccupa, innanzitutto, di giustificare l’abolizione della protezione umanitaria, in quanto «figura dai contorni indistinti, oggetto di applicazione disarmonica sul territorio», nonché causa di «proliferazione di istanze» e di «intasamento dell’ordinaria attività delle Commissioni territoriali preposte all’esame», con conseguente prolungamento del soggiorno in Italia di persone in attesa di una definizione della propria posizione» e aggravio di «oneri sul sistema di accoglienza». A tale riguardo, il ministro sembra non considerare che quella da lui definita come «misura residuale del sistema nazionale di protezione» in realtà costituisce attuazione di una norma costituzionale (art. 10, c. 3). Con la sua eliminazione, meno stranieri potranno essere regolarizzati e i nuovi irregolari, oltre a quelli già presenti, sono comunque destinati a restare a lungo in Italia, quindi, di conseguenza, la nuova legge non ridurrà il numero degli stranieri illegalmente presenti sul territorio nazionale. La circolare dice poi che la protezione umanitaria non si è rivelata «un adeguato strumento di integrazione» in quanto «su circa 40.000 tutele umanitarie riconosciute dalle Commissioni territoriali negli ultimi tre anni, poco più di 3.200 sono state le conversioni in permesso di lavoro e circa 250 in ricongiungimenti familiari». Questo passaggio rivela un errore: lo strumento di integrazione non era la forma protezione – che rappresentava invece il titolo per un periodo di soggiorno regolare in Italia – bensì il percorso di formazione e di inserimento socio-lavorativo ad essa connesso, che in alcuni casi non è stato attivato o lo è stato in maniera insufficiente da parte dei soggetti competenti. La circolare afferma poi che, in tutti i casi nei quali il permesso per protezione umanitaria non è stato convertito in altro tipo di permesso, ed è quindi scaduto, sono rimasti sul territorio nazionale stranieri divenuti di conseguenza irregolari, «in condizioni di assoluta fragilità e povertà, spesso foriere di attrazione in circuiti criminali». Anche questo passaggio lascia perplessi. Se, come detto, lo Stato non è riuscito ad attivare percorsi di integrazione per gli aventi diritto e poi, scaduti i termini dei relativi permessi, non è stato capace di rimpatriare gli stranieri esclusi dalle strutture di accoglienza e privi di mezzi di sostentamento, il problema non è l’istituto della protezione umanitaria, ma di chi preferisce abolirla anziché trovare il modo di farla funzionare.

La circolare tratta anche della trasformazione del Sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), ora limitato a Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati (Siproimi). Al riguardo, ribadisce la non retroattività del decreto: i richiedenti asilo e i titolari di permesso umanitario rilasciato ai sensi della precedente normativa, già presenti negli Sprar alla data del 5 ottobre u.s. (entrata in vigore del provvedimento), vi rimangono fino alla scadenza del progetto in corso. Ma non è dato sapere, ad esempio, quale sia la sorte dei richiedenti asilo che, riconosciuti idonei ad accedere a uno Sprar prima del 5 ottobre, erano in attesa che si liberasse un posto: ai sensi del decreto immigrazione non hanno più diritto ad accedere in questo Sistema, dato che ora i richiedenti ne sono esclusi. Inoltre, non pare corretta la rassicurazione della circolare «circa l’assoluta, sostanziale invarianza delle regole di accoglienza», al fine di «dissipare l’immotivata diffusione di preoccupazioni circa gli effetti che la nuova normativa produrrebbe in termini di incremento della ‘marginalità sociale’… ». Infatti, non solo i richiedenti asilo non vengono più accolti nelle apposite strutture di integrazione, come detto, ma, con l’eliminazione della clausola generale della protezione umanitaria, molti migranti non potranno più regolarizzare il loro soggiorno in Italia o rinnovare il relativo permesso. E, in mancanza di un numero di rimpatri pari al numero di irregolari già presenti nel Paese e di quelli che diverranno tali per effetto dell’eliminazione della protezione umanitaria («ci mettiamo ottant’anni a recuperare i cinque, sei, 700 mila immigrati entrati negli ultimi anni», ha detto Salvini), il principale impatto del decreto in discorso sarà proprio l’aumento del numero degli irregolari e, quindi, della marginalità sociale e della situazione di potenziale insicurezza a ciò connessa: l’opposto di quanto dice la circolare. Infatti, secondo uno studio della Bocconi (“Clicking on Heaven’s Door: The Effect of Immigrant Legalization on Crime”), gli stranieri con permesso di soggiorno sono del 50% in meno propensi a commettere reati economici rispetto a quelli che non lo hanno.

Un’ultima osservazione: la circolare, per giustificare l’adozione delle misure contenute nel decreto sicurezza, cita la deliberazione n. 3/2018 della Corte dei Conti, secondo cui è necessario il superamento di un «diritto di permanenza indistinto». Tuttavia, se è vero che la Corte aveva prospettato l’esigenza di evitare «un’accoglienza di molti mesi (se non anni) durante i quali i migranti, non avendone titolo, vengono di fatto inseriti anche nei cd. percorsi di formazione professionale (…) con oneri finanziari gravosi a carico del bilancio dello Stato», essa non aveva mai invitato a restringere le forme di protezione, come fa il decreto sicurezza, semmai a velocizzare le procedure di vaglio della situazione dei richiedenti asilo.V