Oggi in trenta città europee ci sono state manifestazioni, flash mob, marce per commemorare la strage di Lampedusa avvenuta il 3 ottobre del 2013, in cui sono morte 368 persone, a mezzo miglio dalla terra ferma. Un naufragio diventato il simbolo dell’ignavia e dell’incapacità dell’Europa intera davanti al flusso di migranti che arrivano dal Mediterraneo.
Eppure sei anni dopo siamo ancora sulla stessa barca. Il Comitato 3 ottobre, guidato dall’italoeritreo Tareke Brhane, ha organizzato una commemorazione durata tre giorni, coinvolgendo 200 studenti, 60 scuole. Cosa è successo da allora? L’operazione Mare Nostrum, avviata dal governo Letta, ha permesso di limitare gli sbarchi fantasma, ma è stata oggetto di molte controversie e ha avuto dei costi insostenibili a lungo termine.
Tutte le missioni successive sono state però fallimentari perché si è cercato di curare il sintomo e non la patologia del traffico degli esseri umani. Le Ong sono state preziose, ma per un periodo anche un problema perché mancava una regia efficace per i soccorsi. Infine le organizzazioni umanitarie sono state trasformate in un capro espiatorio e in uno strumento per la battaglia politica fra populisti e fautori dell’accoglienza.
Le politiche adottate dall’ex titolare del Viminale, Marco Minniti, per ridurre gli sbarchi hanno spostato l’emergenza in Libia, dove migliaia di migranti sono rimasti prigionieri e vittime di violenze inaudite, mentre la prassi braccio-di-ferro con le Ong usata dall’ex vicepremier Matteo Salvini ha impedito ogni soluzione politica lungimirante. E così è tornato il caos, con gli sbarchi fantasma, sebbene con numeri molto più ridotti. E come nel gioco dell’oca siamo tornati al punto di partenza. Ed è un esercizio inutile oltre che cinico continuare a dare i numeri sugli arrivi.
Certo, i corridoi umanitari rappresentano uno strumento civile e concreto per evitare ai migranti il passaggio infernale dalle cayenne libiche, ma per ora si limitano a un numero ridotto di profughi. Autorevoli esperti ribadiscono ad ogni quando e ogni dove che ci vorrebbe un intervento multilaterale in Libia per liberare i migranti, ma operare in un Paese in guerra è un’operazione complessa che si scontra con diversi interessi strategici.
Da anni si ribadisce che si deve superare il trattato di Dublino, ma pare impossibile mettere d’accordo gli stati membri dell’Unione Europea e obbligarli ad assumersi le responsabilità di un’accoglienza condivisa e automatica.
Sebbene l’imperativo morale #restiamoumani sia indiscutibile, commemorare le stragi può servire solo a trasmettere consapevolezza. La ricetta per governare i flussi non si trova né si troverà, a meno di adottare metodi e criteri concreti per promuovere i flussi legali. Un altro nodo che la politica non vuole sciogliere. E così i flussi migratori restano materia incandescente, nonostante non ci sia alcuna emergenza ai nostri confini.
Morale? La percezione alterata non permette un dibattito sereno e costruttivo, anche senza Matteo Salvini al Viminale. E riavviare l’iter della battaglia sullo ius culturae nel giorno della commemorazione della strage di Lampedusa confonde ulteriormente la narrazione, perché i flussi migratori dalla Libia non hanno nulla a che a fare con i numeri, questi sì molto consistenti, dei nuovi italiani nati nel nostro Paese. E così restiamo ancora tutti sulla stessa barca.
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