Editoriale NuoveRadici.world

Nei giorni scorsi, una madre affidataria di una giovane di origine etiope mi ha raccontato con scoramento tutti gli insulti ricevuti da sua figlia da quando, dieci anni fa, ha deciso di accoglierla nella sua famiglia. E la sua esperienza forse risponde bene alla domanda che ci stiamo ponendo tutti in questo periodo in cui assistiamo all’aumento di casi di xenofobia, discriminazione e razzismo. Mi ha raccontato che, sin da piccola, sua figlia ha subito offese. Persino dalla sua insegnante. Perciò non dobbiamo chiederci se siamo diventati improvvisamente un Paese razzista, ma interrogarci su come si sia arrivati a sdoganare pregiudizi che fino a pochi anni fa non venivano espressi così frequentemente e con greve leggerezza.

NuoveRadici.World vuole continuare ad usare la testa, senza cedere alle pulsioni emotive, soprattutto su un tema talmente delicato. Se guardiamo le denunce, i crimini d’odio a sfondo xenofobo o religioso sono di nuovo in crescita a partire dal 2016. Nel 2017 (ultimo dato OSCE disponibile) i reati legati alla violenza razzista risultano addirittura più che raddoppiati rispetto all’anno precedente. Ma da qui a dichiarare una vera e propria emergenza, ce ne passa. Si deve invece parlare di un’allarmante frantumazione della coesione sociale, semmai.

Cosa è successo allora? Cosa si è inceppato nel nostro Paese? In sintesi io la vedo così: il degrado sociale unito al declino economico e alla mancanza di politiche di integrazione sta diventando una polveriera e favorisce ulteriormente quello che definirei “razzismo esibito”. Ossia la manifestazione di un pensiero d’accatto che per molto tempo era rimasto parzialmente sottaciuto e ora viene espresso senza più timore del giudizio.

Si tratta di una realtà a macchia di leopardo perché ci sono zone geografiche, quartieri urbani e comuni che hanno adottato le buone pratiche di accoglienza e non hanno trasmesso ai cittadini una percezione alterata dei flussi migratori, dove gli stranieri non sono visti come il nemico, anzi. E, pare persino banale sottolinearlo, nelle zone periferiche e degradate dove gli italiani più in difficoltà si sono sentiti abbandonati dalle istituzioni e convivono con grandi concentrazioni di migranti gli episodi sono più numerosi. Niente di nuovo sul piano sociologico, ma preoccupante in uno scenario socio-economico per nulla incoraggiante.

Dati a parte, che rispecchiano la realtà per difetto, è palese che stiamo assistendo a una xenofobia più capillare che colpisce anche chi è nato e cresciuto in Italia. Attenzione però a non cedere alle generalizzazioni.

Inoltre è urgente prendere in considerazione i motivi per cui nel frattempo nessuno o quasi faccia dei gesti concreti per includere e rappresentare le nuove generazioni di italiani che rischiano di diventare un bersaglio: limitarsi alla difesa dei migranti e dei porti aperti non basta, anzi può essere persino controproducente se non si allarga lo sguardo a tutti gli altri.

Intrecciamo Nuove Radici

Mancano 11 giorni e la lista di chi vuole partecipare al nostro primo incontro offline di autofinanziamento si sta allungando. Ad animare la serata oltre al team di NuoveRadici e alcuni protagonisti del nostro storytelling, anche Oscar Giannino che ha seguito con interesse e stima la nostra sfida sin dall’inizio. La settimana prossima vi anticiperemo maggiori dettagli e chissà magari anche il menu.

Analisi infografica per capire perché è difficile avere un quadro statistico esaustivo sugli episodi di razzismo sia in Italia sia in tutta Europa

Stando alle denunce, i crimini d’odio a sfondo xenofobo o religioso sono di nuovo in crescita a partire dal 2016. I dati ufficiali sui crimini d’odio a sfondo xenofobo o religioso dell’ODIHR, l’ufficio per i diritti umani dell’OSCE (Organization for Security and Co-operation in Europe), hanno criteri di raccolta però che variano di anno in anno e da un Paese all’altro. Qualcuno utilizza criteri molteplici (pregiudizi religiosi o etnici ad esempio) per il medesimo episodio, mentre altri, come la Francia, focalizzano da sempre orientamenti specifici come antisemitismo e islamofobia. Di Fabio Malagnini.

Alla notte degli Oscar l’Academy ha (quasi) fatto la cosa giusta

A soli tre anni dagli Oscar “so white” del 2016 (quando, e per il secondo anno consecutivo, i venti attori nominati erano tutti wasp), l’edizione di quest’anno ha visto la vittoria di Rami Malek, Mahershala Ali e Regina King. Anche se la scelta di dare la statuetta di Miglior film all’edificante e furbo Green Book è stata paragonata da Spike Lee a «quando l’arbitro prende la decisione sbagliata». Di Massimiliano Jattoni Dall’Asén. 

Le mani in pasta di Idrissa Kaborè: «Per strada ogni tanto mi riconoscono, ma certi stereotipi contro gli stranieri sono duri a morire. Contro l’ignoranza non si può fare niente»

Idrissa Kaborè, 41 anni, è nato in Burkina Faso ed è cresciuto a Genova. Ha partecipato a La prova del cuoco alla Rai e a Cuochi d’Italia con Alessandro Borghese. A Bergamo ha il suo ristorante, Le Goût. Di Marco Lussemburgo. 

Il Premio Strega Nicola Lagioia: «Gli insulti razzisti? Investire in istruzione, e in formazione. Esattamente ciò che l’Italia non fa da decenni»

«Non bisogna essere buoni, bisogna essere razionali. Razionalità e umanità vanno quasi sempre d’accordo. Chi sfrutta la paura a proprio vantaggio è furbo, al limite assetato di potere, non razionale». Nicola Lagioia riflette su immigrazione e integrazione. Senza dare nulla per scontato.

Alidad Shiri: «In Italia sono andato oltre i miei sogni ma voglio tornare in Afghanistan perché lì ci sono le mie radici»

Anche Superman era un rifugiato (Piemme) è l’ultimo libro in cui viene raccontata la sua incredibile storia. Arrivato dall’Afghanistan in Italia a 15 anni legato con una cinghia al semiasse di un camion, Alidad Shiri è stato adottato dalla sua insegnante di italiano Gina Abbate. Con lei ha scritto Via dalla pazza guerra. Oggi ha 27 anni, collabora con alcuni giornali e si sta laureando in Filosofia politica.