Editoriale NuoveRadici.world

Chiamatele, se volete, elezioni. In questa tornata elettorale per le europee e le amministrative, è emerso in modo prepotente quello che il premio Nobel Daniel Kahneman, studioso di psicologia cognitiva, ha definito il pensiero veloce. Ossia le scorciatoie mentali che aiutano a semplificare, ridurre, cancellare ogni sfumatura e a distorcere i fatti. Ha prevalso ancora di più la demagogia e adesso restiamo in attesa di vedere i risultati con molto scetticismo. Come tutti, abbiamo notato il divario fra il dibattito sull’Europa, che in Italia resta ancora un tema esotico, e quello territoriale per le amministrative, molto più vivace.

Per quanto ci riguarda, abbiamo cercato fra le liste elettorali i candidati di origini straniere, che sono aumentati rispetto a quelle precedenti, ma restano ancora delle eccezioni nel panorama complessivo. Bisogna però porsi un interrogativo.

I nuovi italiani che spuntano nelle liste sono pochi per colpa delle discriminazioni legislative e non, che rendono difficile la partecipazione politica per chi è nato o cresciuto qui, o, soprattutto nelle prime generazioni con diritto di voto,  c’è poco interesse verso la politica?  

L’ultimo candidato che abbiamo intervistato, Amir Atrous, studente universitario italotunisino e candidato per Forza Italia, (leggerete la sua intervista integrale domani sul nostro sito) ha fatto doppia campagna elettorale, rivolta sia alle comunità maghrebine sia agli italiani, e ci ha detto: «Ho trovato un urgente e diffuso desiderio di partecipare fra le nuove generazioni di italiani». «Ma molta indifferenza nella prima generazione di immigrati che è ancorata ai Paesi di origine, dove spesso il voto non è significativo perché sono emigrati da regimi totalitari e convinti che la volontà dell’individuo conti poco», ha osservato. «Eppure, se ci fossero campagne elettorali più rivolte a loro, riusciremmo a scuoterli dall’indifferenza. Ed è questo il nostro obiettivo. Fare da figure ponte verso un enorme bacino elettorale». Semplice e dannatamente complicato.

Chiamatele se volete, elezioni. Eppure anche questa volta i nuovi cittadini sono stati usati solo per gli slogan, per battere sul decreto sicurezza bis che non piace al Colle o per parlare vagamente delle riforme che dovrebbero essere fatte in Europa.

Nessuno, tranne i candidati con background migratorio, ha puntato sul melting pot, sulla riforma della cittadinanza o sulle trasformazioni culturali. Ecco perché alle riunioni, agli eventi a cui abbiamo partecipato, ogni volta dobbiamo (ri)partire da capo per spiegare chi sono, quanti sono e cosa fanno le nuove generazioni. Se qualcuno di loro ce la farà, noi ci auguriamo che i neo-eletti non metabolizzino tutti i vizi della politica (interessi di bottega, attaccamento patologico alla cadrega), ma riescano a battersi per i diritti di tutti. Senza dimenticare i nuovi cittadini che hanno bisogno di figure ponte per entrare nelle istituzioni e far valere le proprie competenze. E si ricordino che devono impegnarsi a demolire gli stereotipi, non a rafforzarli. Inoltre speriamo che i sondaggisti facciano finalmente delle ricerche per capire meglio il rapporto fra i nuovi cittadini di tutte le generazioni e la politica. Perché la terra non è piatta e queste sono elezioni, non emozioni. 

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