Immaginate di essere nel 2029, risiedere nella Akon City, una smart city senegalese da 6 miliardi di dollari, e utilizzare tutti i servizi pagando con una criptomoneta comodamente seduti sul vostro divano. È questo il progetto di Alioune Badiara Thiam, alias Akon, meglio conosciuto come cantante e produttore statunitense di origine senegalese. Nel suo sito internet in via di aggiornamento, Akon descrive la sua affascinante idea, un progetto che dovrebbe vedere l’inizio dei lavori proprio quest’anno, e che occuperebbe uno spazio di duemila ettari a due ore dalla capitale Dakar. Proprio la criptomoneta Akoin è al centro del funzionamento della futuristica monopoli senegalese, che potrebbe anche essere replicata in Uganda. Secondo l’imprenditore, “le criptomonete offrono un mercato di strumenti e servizi che alimentano i sogni di imprenditori e attivisti sociali, perché connettono tra loro le economie emergenti africane”.

Al di là delle molteplici speculazioni che già mettono in dubbio il funzionamento di questa città in via di creazione, di criptomonete in Africa si parla ancora poco, benché questo terreno sia tutt’altro che inesplorato.

Cos’è la blockchain?

Per i meno nerd fra i lettori, un richiamo veloce al significato di blockchain: essa consiste in un archivio di registrazioni immutabili di dati che permette ai fruitori di questi di effettuare delle transazioni mediante l’utilizzo di un computer. Il suo funzionamento può essere paragonato ad un sistema bancario nel quale però l’unità centrale, la banca appunto, viene meno, perché tutte le transazioni sono convalidate dagli utenti, che sono dei computer. L’interconnessione fra le varie transazioni è resa possibile dal fatto che ogni blocco di questa catena controlli tutti gli altri. Le criptomonete, fra le quali la più conosciuta è il bitcoin, funzionano mediante questo meccanismo: create nel 2009 da un qualcuno di cui ancora oggi si ignora la vera identità, esse permettono un trasferimento immediato di denaro senza passare per una banca centrale, con tassi di cambio determinati esclusivamente dal mercato.

Dove è maggiormente diffuso il mobile commerce in bitcoin?

L’Africa può essere definita come l’hub del mobile commerce, con una media del 5,5% degli utenti che detiene una qualche forma di valuta digitale. Secondo il Global Digital Yearbook 2020, il 13 % dei sudafricani detiene criptomonete, il valore più alto registrato in tutte le nazioni partecipanti allo studio. In Nigeria il valore si attesta al 7,8% mentre in Ghana al 7,3%. In Sudafrica, con una popolazione di 58 milioni di persone, nel 2020 si sono registrate 103.5 milioni di connessioni tramite telefono cellulare, rappresentando il 176 % per cento della popolazione e il 62 per cento della popolazione con accesso ad una connessione internet. Proprio il 4 per cento delle transazioni in bitcoin dell’Africa proviene dalla Nigeria, per un totale di 400 milioni di dollari scambiati nel 2020, consentendogli di classificarsi al terzo posto nel mondo dopo Stati Uniti e Russia. Ad aprile, in base ai dati di Google Trends, è emerso che la città di Lagos ha registrato il volume maggiore al mondo in termini di ricerca online per la parola “Bitcoin”. Uno dei possibili successi della criptovaluta in questo Paese è che la moneta nazionale, la Naira, pullula di instabilità perché collegata al prezzo del petrolio che continua ad oscillare.

Diaspore, giovani e imprenditori

Poiché la Banca Centrale Nigeriana blocca spesso le transazioni straniere, impedendo di fatto ai nigeriani di acquistare online, il bitcoin entra in gioco, soprattutto considerando la giovane età della popolazione (l’età media è di 19 anni) e la propensione all’utilizzo della tecnologia mobile per l’invio di denaro. Uno scenario che pare confermarsi a livello continentale, con 226 milioni di persone di età compresa tra 15 e 24 anni. Questa cifra è destinata a raddoppiare entro il 2045, quando si prevede che la forza di lavoro africana sarà la più numerosa al mondo. Anche la difficoltà di accesso ai servizi finanziari spiegherebbe il fatto che il continente sia oggi pronto ad una piena adozione della criptovaluta. In Africa subsahariana, 2 adulti su 3 non hanno accesso ad un conto bancario. Questa realtà diviene ancora più palese se si considera che, secondo la Banca Mondiale, in otto nazioni africane 1 adulto su 5 possiede un conto accessibile unicamente da telefono cellulare. Inoltre, dato che in molti paesi africani le crisi valutarie sono in forte crescita, gli alti tassi di inflazione compromettono costantemente le capacità di acquisto dei cittadini.

E così il bitcoin diventa vantaggioso anche per le diaspore, che sempre più spesso inviano rimesse tramite moneta virtuale, beneficiando di costi inferiori.

A livello di business development, sono sempre più numerosi gli imprenditori africani che hanno fatto capolino sul mercato internazionale utilizzando la blockchain, nella speranza di proteggere le loro imprese dalle svalutazioni monetarie. Di fatto quindi, eventuali divieti imposti dai singoli governi non possono bloccare il mercato online di criptomonete. D’altro canto, ad alimentare l’espansione della criptovaluta è anche il mercato informale africano, che consente ai business man di accrescere le loro attività mediante la creazione di posti di lavoro strettamente legati alla blockchain.

Integrazione monetaria o malaffare?

Talvolta le criptomonete possono persino servire ad alimentare un progetto politico. È il caso dell’ubuntu in Costa d’Avorio, o dell’Ambacoin coniato dai separatisti delle regioni anglofone del Camerun. In particolare, nel secondo caso, la funzione di questa moneta è stata descritta lungamente descritta in un white paper come intrinseca alla costruzione di una nuova nazione, con l’obiettivo non solo di sganciarsi dal franco CFA, e quindi dalla dominazione francese, ma anche dalla parte francofona del Camerun accusata di repressione nei confronti delle minoranze.

La stessa Unione Africana difende un progetto di integrazione monetaria mediante un’unica criptomoneta, che entro il 2063 permetterebbe a quaranta diverse monete di diventarne una sola, allo scopo di facilitare gli scambi commerciali e lo sviluppo del continente. L’integrazione permetterebbe alle grandi istituzioni finanziarie e politiche del continente di vigilare sulla stabilità politica dei vari paesi, com’era già accaduto in Gambia all’indomani del conflitto elettorale del 2017, con l’operazione Restore Democracy. C’è però il rovescio della moneta, rappresentato dal fatto che proprio l’assenza di un organo centrale rende questa valuta non solo estremamente volatile, ma anche perfetta per il riciclaggio di denaro, terrorismo e traffici illeciti. Non è un caso che proprio recentemente la Banca Centrale della Nigeria abbia vietato le transazioni relative alla criptovaluta, ordinando alle banche di chiudere tutti i relativi conti. È inoltre recente la notizia di due fratelli sudafricani, investitori della piattaforma Africacrypt, che hanno fatto perdere le proprie tracce con un valore di bitcoin pari a due miliardi di euro, complicando la vita agli ingenui investitori.

Una moneta per tutti?

A frenare gli entusiasmi degli esperti circa l’espansione della criptovaluta ci pensa “l’altra Africa”, quella dell’alta percentuale di popolazione concentrata nelle zone rurali, spesso sprovviste di smartphone e connessioni internet, impossibilitate quindi di inserirsi come consumatore in un servizio che potrebbe essere considerato troppo al di sopra delle loro capacità tecnologiche. Non dimentichiamo inoltre che la presenza di accessi sicuri ad internet è una realtà ancora troppo poco generalizzata nel continente: questo potrebbe, ancora una volta, escludere un’ampia fetta di popolazione rendendola di fatto più vulnerabile e contribuendo ad accrescere maggiormente le disuguaglianze.

Foto: Africa Rivista