La vita è altrove. E la forza dell’Italia pure. Dopo la sconfitta umiliante della Nazionale di calcio, qualcuno comincia a chiedersi se gli errori siano stati solo di natura tecnica. O se i calciatori, ora pugili suonati, siano solo milionari stanchi. Del resto lo ha detto pure il dissacrante comico John Modupe “Giocano solo i vostri figli, peccato”.

Non sono un’esperta di calcio mercato, ma ci deve essere un motivo se la new wave dell’atletica leggera multiculturale, dinamica e piena di vitalità agli Europei di Roma ha portato a casa ventiquattro medaglie: ori, argenti, bronzi, estasi grazie al know-how tecnico che si è sposato anche con le straordinarie motivazioni degli italiani con background migratorio. E allora sono andata a vedere la formazione degli Azzurri convocati agli Europei. Nessuno o quasi che abbia sofferto prima di poter giurare sulla Costituzione. Tecnicamente, se non sbaglio, c’era solo Stephan El Shaarawy aka Il Faraone, origini egiziane da parte di padre. Di questo paradosso italiano, che a differenza del resto dell’Europa non apre le porte alle seconde generazioni, se ne parla da tempo, invocando uno ius sportivo che aiuterebbe a far crescere nuovi talenti.

Eppure nell’atletica leggera ci sono Mattia Furlani, 19 anni, allenato da una madre di origini senegalesi, Lorenzo Simonelli che ha vinto la medaglia d’oro nei 110 ostacoli che è nato a Dodoma da madre tanzaniana e padre italiano. Per tutti è “Lollo”, ma lui preferisce essere chiamato “Luffy”, come il protagonista del manga giapponese One Piece. E ancora: Zaynab Dosso, 24 anni, bronzo nei 100 metri femminili, è nata in Costa d’Avorio ed è cresciuta in Emilia prima di trasferirsi a Roma.

Zane Weir, classe 95, quarto nel peso è un sudafricano con nonno friulano, Yeman Crippa ha conquistato l’oro nella mezza maratona. Marcell Jacobs e Chituru Ali hanno portato a casa una straordinaria doppietta nella gara regina della velocità. Marcell Jacobs, nato a El Paso, Texas, è cresciuto a Desenzano e considera Roma la sua città adottiva.

Abbiamo un problema. Tecnico o anche sociale? La Nazionale è rimasta indietro, non ha sposato la motivazione delle seconde generazioni, non le ha messe in squadra come nell’atletica? Perché in altre discipline sportive questo tipo di muro è stato abbattuto, sebbene in Italia vi sia il nodo della cittadinanza che si ottiene solo a 18 anni?

Vi ricordate di questa immagine? Ci fece sognare, parlare di inclusione, sport, talento femminile.

Questa foto è stata scattata il 30 giugno del 2018 a Tarragona durante l’ultima giornata dei Giochi del Mediterraneo, una specie di piccola Olimpiade che si tiene fra i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. La foto mostra quattro atlete italiane alla fine della prova di staffetta 4×400, che hanno appena vinto la gara: Raphaela Lukudo, Maria Benedicta Chigbolu, Libania Grenot e Ayomide Folorunso. Allora c’era Matteo Salvini al Viminale. Oggi c’è un altro Matteo, Piantedosi, e lo ius sportivo nel calcio non c’è ancora.

L’atletica leggera multiculturale surfa, non da oggi, sull’onda lunga del dinamismo e del talento, regala vittorie ed emozioni, mentre quella del calcio resta al palo. Tutti ora scrivono ridateci Baggio, Totti, Del Piero ma forse la Nazionale è stanca come l’Occidente. E allora forse, per rifare la Nazionale sul campo da calcio, bisogna fare la riforma della cittadinanza.